{"id":183,"date":"2017-09-12T08:57:16","date_gmt":"2017-09-12T08:57:16","guid":{"rendered":"http:\/\/www.tuttarteonline.it\/?p=183"},"modified":"2017-11-13T13:12:31","modified_gmt":"2017-11-13T13:12:31","slug":"mark-kostabi-critica-vittorio-sgarbi","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.tuttarteonline.it\/mark-kostabi-critica-vittorio-sgarbi\/","title":{"rendered":"Mark Kostabi: la critica di Vittorio Sgarbi"},"content":{"rendered":"

\"kostabi\"<\/a>“Le Avventure di Kostabiman contro la Finalcial Art”<\/strong>
\nA cura di Vittorio Sgarbi<\/em><\/p>\n

Non avrebbe senso criticare l’arte di Kostabi perch\u00e9 commerciale: l’arte di Kostabi vuole essere volutamente commerciale e la semplicit\u00e0 strutturale del suo stile \u00e8 una funzione finalizzata a esprimere al meglio questa vocazione.<\/p>\n

Allo stesso modo, non avrebbe senso liquidare l’intenzione commerciale dell’arte di Kostabi senza accorgersi che essa riprende il problema della. “democraticit\u00e0” dell’arte da dove l’aveva lasciato Warhol, sviluppandolo e proponendo nuove possibilit\u00e0 per una sua soluzione.<\/p>\n

Si pu\u00f2 eventualmente criticare la proposta, ritenendola inadeguata, ma non eludere la questione che Kostabi affronta. Sono passati pochi anni dalla morte di Warhol, eppure il suo mondo, che poteva sembrare il punto estremo di una parabola storica, \u00e8  gi\u00e0  profondamente diverso da quello di Kostabi.<\/p>\n

Il problema del modello sociale e politico dell’arte si \u00e8 fatto ancora pi\u00f9 urgente e contraddittorio rispetto ai tempi di Warhol. Oggi tutta l’arte che conta \u00e8 arte fortemente d’elite, compresa quella che vuole apparire una sua alternativa. \u00c8 un’arte in cui i mercanti si sono impossessati totalmente del tempio, senza temere nessuno che li cacci via, mascherandosi anzi da perbenisti.<\/p>\n

\u00c8 una arte che santifica il denaro come mai aveva fatto in passato, un’arte che serve a fare soldi (agli artisti, ai galleristi, ai critici che meglio si adeguano alle leggi del mercato) e far fare bella figura a ricchissimi collezionisti e mecenati: gli Agostino Chigi dei nostri tempi.<\/p>\n

Anche coloro che si sono arricchiti vendendo armi a Hitler e usufruendo del lavoro forzato – la famiglia Flick a Berlino, per esempio – possono rifarsi con una bella collezione artistica che viene messa a disposizione del pubblico, capace di glorificarli in eterno. Niente di nuovo dal Cinquecento in poi, si dir\u00e0.<\/p>\n

In realt\u00e0, qualcosa di diverso c’\u00e8: oggi l’arte di \u00e9lite \u00e8 diventata una financial art, una borsa finanziaria esattamente corrispondente a quella dei titoli azionari. Si compra arte per fare affari, per investire, per avere dei vantaggi, dei plusvalori.<\/p>\n

Quale la differenza fra un titolo azionario e un dipinto? Solo una opera d’arte pu\u00f2 darti, oltre alla soddisfazione per la crescita del suo valore economico, anche la gratificazione estetica. Ma in questo gioco di societ\u00e0 per miliardari non \u00e8 un obbligo il piacere degli occhi, perch\u00e8 l’arte come questione strettamente estetica \u00e8 diventata un fatto trascurabile.<\/p>\n

L’importante \u00e8 promuovere un “titolo”, un’operazione di marketing che sia in grado di trasformare un artista insignificante in un maestro epocale; basta un gallerista, un critico, un giornale “giusto”, e tutti i miliardari che  partecipano al gioco investiranno sul “titolo” che loro promuovono.<\/p>\n

Quando l’arte fa girare tanto denaro, quando collezionisti spendono tanto  per  comprarla, nessuno si pone pi\u00f9 altre domande: se costa, vuol dire che vale. Non \u00e8 un caso che uno dei pi\u00f9 rappresentativi collezionisti dei nostri tempi, Charles Saatchi, sia un grande mago della pubblicit\u00e0.<\/p>\n

Non \u00e8 un caso che proprio da Saatchi siano venute alcune delle operazioni pi\u00f9 spregiudicate della nuova financial art, come la vendita a Damien Hirst di opere in “formaldeide” che il collezionista gli aveva comprato negli anni scorsi. Gli artisti comprano le loro opere per rivalutarle, quindi per pura speculazione finanziaria: non era   mai successo prima, ma diventer\u00e0 la regola nei nostri giorni. Sono queste le grandi performance artistiche dei nostri tempi, non le opere che coinvolgono. Ci si aspettava un freno, a questa assurda financial art, dai musei, quindi dalle istituzioni che in teoria dovrebbero privilegiare non l’interesse dei miliardari, ma di un pubblico pi\u00f9 vasto, pi\u00f9  interessato  a  valori   che   non   siano  solo  economici. Ci  si \u00e8<\/p>\n

sbagliati anche sotto questo aspetto: oggi i musei d’arte contemporanea servono a certificare i valori di mercato che i galleristi e i collezionisti hanno stabilito. Se vale tanto e viene esposto in un museo, vuoi dire che \u00e8 grande arte, cos\u00ec si finisce per ragionare.<\/p>\n

\u00c8 triste, ma bisogna ammetterlo: oggi la maggioranza dei musei d’arte contemporanea serve a far guadagnare affaristi gi\u00e0 ricchissimi, attribuendo loro una cultura che \u00e8 pi\u00f9 immeritata di quanto non fosse quella assegnata da Raffaello ad Agostino Chigi.<\/p>\n

Anche le grandi manifestazioni internazionali, dalla Biennale di Venezia a Documenta di Kassel, non sono libere da questo meccanismo della financial art: spesso queste grandi esposizioni sono l’inizio di un percorso che porter\u00e0 alla sicura consacrazione. La cosa apparentemente pi\u00f9 paradossale di questa financial art \u00e8 la facolt\u00e0 di mascherare totalmente i suoi reali propositi.<\/p>\n

Ogni artista, ogni critico, ogni mercante, ogni direttore di museo sembra muoversi in modo assolutamente disinteressato, come se pensasse solo al bene dell’arte, al suo sviluppo, alla crescita culturale di tutta la societ\u00e0. Per essere pi\u00f9 credibili, ci riempiono di discorsi confusi e motivazioni evanescenti, campionari di poverissima consistenza intellettuale che  sembrano<\/p>\n

fatti apposta per prendere in giro i pi\u00f9 ingenui. Sembra grottesco, ma l’arte pi\u00f9 materiale di tutti i tempi vuole apparire la pi\u00f9 pura e spirituale che si possa immaginare, unica e irripetibile. L’arte sottoposta alle regole pi\u00f9 inique della globalizzazione economica vuole apparire come la pi\u00f9 emancipata  dalle  leggi  dominanti  nella  vita  ordinaria,  come   un  mondo “altro”, perfino migliore di quello normale.<\/p>\n

Ma il tutto ha una sua ragione: per capire la financial art bisogna non capire, altrimenti l’inganno finirebbe subito. Cos\u00ec fra la financial art e il pubblico non coinvolto nelle sue speculazioni, quindi il 99,9 per cento, si \u00e8 aperta una profondissima incomprensione, forse la pi\u00f9 profonda che ci sia mai stata.<\/p>\n

Nonostante le iniziative dei grandi promotori della financial art, questo pubblico non comprende perch\u00e9  certa  arte  abbia  tanto rilievo. In passato, davanti a una opera di Burri, Fontana o Pollock, si capiva di essere davanti a un nuovo modo d’intendere l’arte anche quando non la si comprendeva.<\/p>\n

Ora non si comprende in che modo opere e artisti trascurabili, eccetto che per i loro valori economici, potrebbero essere considerati i Burri, i Fontana e i Pollock dei nostri tempi, come pretenderebbero i loro sostenitori.<\/p>\n

Sconcerta, poi, il fatto che a tanta arte insignificante corrispondano i valori economici pi\u00f9 alti che ci siano mai stati. Ma \u00e8 inutile farsi domande, il consenso del pubblico non conta, serve solo come contorno, vero o immaginario, ai trionfi gi\u00e0 decretati da una ristrettissima \u00e9lite di galleristi, critici, collezionisti privati e pubblici.<\/p>\n

\u00c8 ai loro giudizi insindacabili che ci si deve sottomettere, dando per scontata l’onest\u00e0 assoluta dei loro fini: loro lavorano per la maggior gloria dell’arte e della cultura, non capirli significa essere senza cultura.<\/p>\n

Cos\u00ec si accetta la dittatura tirannica di una \u00e9lite che in qualunque altro contesto sarebbe considerata inaccettabile. In arte si pu\u00f2, perch\u00e9 l’arte concepisce ancora la contrapposizione fra uomini di genio, veri o supposti, e le masse incolte.<\/p>\n

Kostabi \u00e8 perfettamente cosciente dell’ esistenza di una financial art e del modello sociale e politico – l’arte della “super-\u00e9lite” – che essa ci fa vedere in trasparenza. \u00c8 tanto intelligente da capire che si tratta di un modello reazionario, malgrado la financial art abbia la presunzione di essere qualcosa di progredito e di progressista.<\/p>\n

Il punto di partenza rimane quello, insoluto, di Warhol: se c’\u00e8 societ\u00e0 di massa, se c’\u00e8 industria e comunicazione di massa, l’arte deve essere industria e comunicazione di massa.<\/p>\n

Kostabi ha anche l’intelligenza di capire che il problema della “democraticit\u00e0” dell’ arte non si risolve con la demonizzazione del denaro e del mercato, come in passato hanno creduto alcuni artisti con pretese rivoluzionarie.  <\/p>\n

Si pensi, per esempio, a tutta l’arte d’Avanguardia. Il mercato ha commercializzato anche l’assenza degli oggetti, attraverso gli schizzi, i progetti  ,    le   documentazioni visive delle varie performance.<\/p>\n

Quindi tutto, nell’arte contemporanea, \u00e8 commercializzabile, non \u00e8 uno scandalo, \u00e8 anzi giusto che sia cos\u00ec, senza false ipocrisie. L’importante \u00e8 trovare per l’arte una equilibrata via di commercializzazione, una via alla quale corrisponda un modello politico e sociale non reazionario.<\/p>\n

\u00c8 questa la ragione principiale per la quale Kostabi non \u00e8 interessato alle speculazioni della financial art: al modello della “super-\u00e9lite” preferisce un modello pi\u00f9 democratico, in cui la partecipazione del pubblico non sia soltanto ipotetica, ma concreta e attiva.<\/p>\n

Dimostrandosi diverso dalla maggioranza dei suoi colleghi, Kostabi vede, il suo pubblico come clienti, reali o possibili, che vanno coinvolti direttamente nell’elaborazione dei dipinti. Non \u00e8 solo un’inclinazione personale, \u00e8 una<\/p>\n

visione del mondo attuale che \u00e8 diversa da quella di Warhol, perch\u00e9 il suo mondo \u00e8 diverso dal nostro. Ieri la comunicazione di massa era un fenomeno che veniva subito in modo prevalentemente passivo: pochi comunicavano attivamente, agli altri non rimaneva che ricevere i messaggi, senza possibilit\u00e0 di contraddittorio.<\/p>\n

Oggi, con l’introduzione  di  Internet,  la comunicazione di massa \u00e8 diventata molto pi\u00f9 interattiva di una volta: non si \u00e8 pi\u00f9 nella condizione di ricevere solo messaggi altrui, ma si ha anche la possibilit\u00e0 di emetterne altri, potendosi stabilire in questo modo una comunicazione globale pi\u00f9 libera.<\/p>\n

\u00c8 interessante notare la differenza in cui la financial art e Kostabi concepiscono Internet. La financial art concepisce Internet in un modo tradizionale, come se fosse la televisione, quindi come una vetrina in cui si mostra ci\u00f2 di cui intende far crescere il valore.<\/p>\n

A chi vede queste vetrine non resta che accettare quanto vede o lasciare perdere. Nel suo website, invece, Kostabi non si limita a presentare una vetrina delle sue opere, ma chiede pareri su come potrebbero essere altre, invitando a votare un progetto piuttosto che un altro.<\/p>\n

\u00c8 una esperienza di partecipazione interattiva interessantissima, non solo nel senso dell’evoluzio- ne del marketing artistico, che in un certo modo pu\u00f2 essere messo sullo stesso piano di certi happenings creativi degli anni Sessanta – Ottanta.<\/p>\n

Solo che ora l’intento \u00e8 totalmente diverso da quegli anni: non si vuole sconvolgere il sistema, rinnegando l’arte come oggetto, ma al contrario lo si vuole perfezionare al massimo, rendendo gli oggetti quanto pi\u00f9 disponibili  alle esigenze dei clienti. <\/p>\n

\u00c8 questa la via commerciale che Kostabi contrappone alla financial art, una via pi\u00f9 adatta all’epoca della comunicazione intermediale e che si apre direttamente al grande pubblico, invece di frustrano e strumentalizzarlo.<\/p>\n

L’arte di Kostabi, intenzionalmente popular, semplificata nelle  sue  componenti  di   base   per   essere   linguaggio  immediatamente<\/p>\n

comprensibile e replicabile, vuole essere davvero arte di tutti, non arte imposta a tutti, come invece \u00e8 la maggioranza dell’arte contemporanea. L’obiettivo di Kostabi non \u00e8 raggiungere quotazioni record in un’asta di Christie’s o di Sotheby’s, come si propone la financial art, n\u00e9 di gratificare l’ambizione di collezionisti miliardari che all’arte non vorrebbero chiedere altro.<\/p>\n

Il vero obiettivo di Kostabi \u00e8 far s\u00ec che qualunque cittadino moderno, qualunque uomo dell’epoca di Internet, da Helsinki a Citt\u00e0 del Capo, da Adelaide a Lima, possa avere a casa o in ufficio una sua opera.<\/p>\n

Se cos\u00ec succede,  vuol  dire  che  ogni  cittadino  moderno, di qualunque cultura, di qualunque luogo, pu\u00f2 riconoscere nel volto senza tratti del Kostabiman il proprio, non perch\u00e9 anonimo, ma perch\u00e9 potenzialmente di tutti.<\/p>\n

L’arte, dice Kostabi, deve proporsi di essere consenso di molti, non di pochi, altrimenti si rischierebbe di cadere nel razzismo. Si pu\u00f2 discutere se questo consenso vada ottenuto artisticamente in un modo piuttosto che un altro, la soluzione di Kostabi non vuole essere affatto quella assoluta, n\u00e9 avrebbe la presunzione di esserlo.<\/p>\n

\u00c8 per\u00f2 importante affrontare il problema della dimensione sociale dell’arte contemporanea nello stesso modo in cui lo ha fatto Kostabi, senza richiudersi per forza nella financial art.<\/p>\n

\u00c8 impressionante notare come molti dei nomi pi\u00f9 rinomati della financial art, capaci di muovere milioni e milioni di dollari, siano assolutamente sconosciuti al 99,9% della popolazione mondiale.<\/p>\n

Questo non capitava ai tempi di Giotto, Raffaello, Michelangelo, Caravaggio, Bernini, Goya, Picasso, quando la comunicazione di massa dei nostri tempi ancora non esisteva. Ci\u00f2 significa che l’arte di oggi, paradossalmente, \u00e8 diventata ancora pi\u00f9 elitaria di quanto non fosse ieri. \u00c8 una contraddizione che non si pu\u00f2 ignorare, e Kostabi lo ha capito bene.<\/p>\n

Cos\u00ec come ha capito bene che porsi al passo con l’epoca di Internet non significa affatto recidere ogni rapporto con l’arte del passato. Anche se ponendosi come esponente estremo di un certo modo di concepire industrialmente l’arte, Kostabi afferma d’ispirarsi non ai modelli produttivi dell’era post-industriale, ma ai grandi maestri del passato.<\/p>\n

Ha perfettamente ragione: Giotto, Raffaello, Guercino, per citare tre nomi noti a tutti, non sono grandi solo per essere stati nuove e precise individualit\u00e0 stilistiche, ma anche per aver avuto la capacit\u00e0 di organizzare uno stile ed essere in grado di diffonderlo ovunque.<\/p>\n

Con Giotto, Raffaello e Guercino, anche i loro collaboratori di bottega hanno aiutato a trasformare in opera d’arte le loro idee, i loro progetti, i loro disegni. Non avrebbe senso distinguere le diverse mani dei collaboratori quando l’intera opera \u00e8 stata progettata da un unico capobottega e organizzata in modo tale da riprodurre uno stile uniforme, per esempio come quello richiesto dall’Avanguardia.<\/p>\n

L’industria di Kostabi si sforza di produrre ancora opere realizzate attraverso un certo grado di abilit\u00e0 manuale, come ai tempi di Giotto, Raffaello, Guercino, simili fra di esse, ma mai del tutto uguali. Il massimo della modernit\u00e0 diventa cos\u00ec il massimo della tradizione: anche nell’epoca della serialit\u00e0 globale e di Internet, l’arte mantiene un senso quando rimane artigianato, pratica che viene fatta innanzitutto con il mestiere delle mani.<\/p>\n

Mi sembra un valore forte e assolutamente condivisibile, in un’epoca di facili sofismi estetici e di speculazioni come quella attuale. \u00c8 questo il messaggio principale che colgo dalle infinite avventure di Kostabiman, il leit-motiv di una storia sempre uguale e diversa: anche per l’arte, non esiste una sola possibile globalizzazione, ma varie alternative, non tutte equivalenti e soddisfacenti.<\/p>\n

Bisogna saper scegliere!<\/p>\n

Opere di Mark Kostabi<\/h2>\n

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“Le Avventure di Kostabiman contro la Finalcial Art” A cura di Vittorio Sgarbi Non avrebbe senso criticare l’arte di Kostabi perch\u00e9 commerciale: l’arte di Kostabi vuole essere volutamente commerciale e la semplicit\u00e0 strutturale del suo stile \u00e8 una funzione finalizzata a esprimere al meglio questa vocazione.<\/p>\n","protected":false},"author":1,"featured_media":225,"comment_status":"open","ping_status":"open","sticky":false,"template":"","format":"standard","meta":{"footnotes":""},"categories":[30,14,29],"tags":[],"_links":{"self":[{"href":"https:\/\/www.tuttarteonline.it\/wp-json\/wp\/v2\/posts\/183"}],"collection":[{"href":"https:\/\/www.tuttarteonline.it\/wp-json\/wp\/v2\/posts"}],"about":[{"href":"https:\/\/www.tuttarteonline.it\/wp-json\/wp\/v2\/types\/post"}],"author":[{"embeddable":true,"href":"https:\/\/www.tuttarteonline.it\/wp-json\/wp\/v2\/users\/1"}],"replies":[{"embeddable":true,"href":"https:\/\/www.tuttarteonline.it\/wp-json\/wp\/v2\/comments?post=183"}],"version-history":[{"count":0,"href":"https:\/\/www.tuttarteonline.it\/wp-json\/wp\/v2\/posts\/183\/revisions"}],"wp:featuredmedia":[{"embeddable":true,"href":"https:\/\/www.tuttarteonline.it\/wp-json\/wp\/v2\/media\/225"}],"wp:attachment":[{"href":"https:\/\/www.tuttarteonline.it\/wp-json\/wp\/v2\/media?parent=183"}],"wp:term":[{"taxonomy":"category","embeddable":true,"href":"https:\/\/www.tuttarteonline.it\/wp-json\/wp\/v2\/categories?post=183"},{"taxonomy":"post_tag","embeddable":true,"href":"https:\/\/www.tuttarteonline.it\/wp-json\/wp\/v2\/tags?post=183"}],"curies":[{"name":"wp","href":"https:\/\/api.w.org\/{rel}","templated":true}]}}