“Mark Kostabi o lo stile della provocazione” di Paolo Rizzi

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opere-kostabiLo stile di Mark Kostabi è nato (meglio è apparso) più di vent’anni fa, quando l’artista era appena ventenne. Curioso: questo stile è nato già adulto, cioè compiuta-mente formato.Lo conoscono tutti: si basa sulle tipiche figure biancastre, ben contornate, dal rilievo plastico formato dalle ombre.

Il volto, si sa, è un ovale senza precisazioni fisiognomiche. Su questa tipologia sono costruite moltissime varianti: che formano ognuna un dipinto completo. Semplice? Sì, fino ad un certo punto.

Intanto occorre dire che Kostabi, prima di avviare il lavoro del suo atelier multiplo, ha disegnato e dipinto per anni in perfetta solitudine. Sono almeno duecento, forse trecento, i dipinti da lui eseguiti di propria mano, prima che subentrasse il metodo dei collaboratori. Già in essi il suo stile era maturo.

Esso nasceva, e nasce ancora, dall’osservazione attenta del mondo: sia del mondo fisico, sia del mondo dei modelli culturali. Si potrebbe parlare dei manichini di De Chirico: ma questa è una delle tante ascendenze, forse nemmeno la più importante. Credo che la prima idea, per le sue figure evanescenti, sia nata dall’uso del computer.

La forma tonda si è dilatata sullo schermo:ha assunto modalità dapprima biomorfe, poi antropomorfe. Quindi è entrata in un racconto, raccogliendo sensazioni e memorie da ogni parte. Questo è il metodo di Kostabi.

Sulla base dell’archetipo da lui creato, sono uscite mille e mille “variazioni sul tema” (e lui, eccellente musicista, sa come si sviluppano le variazioni melodiche). Esse hanno riferimenti impensabili, particolarmente di origine psichica. Noi crediamo di “vedere”: in realtà quel che vediamo non è che un’interpretazione di modelli di consumo e di comportamento che in-consapevolmente assumiamo.

Così Kostabi ‘vede’, o meglio ‘stravede’. Non a caso le sue figure sono senza volto. Egli stesso dice: “il volto è vuoto proprio perché deve essere riempito dagli altri”. In altre parole, egli ha capito benissimo che l’ars maieutica, cioè l’arte dell’interpretazione, è oggi basilare: anzi, tende a sostituirsi alla creazione cosiddetta originanale.

Noi interpretiamo sempre; quindi travisiamo. Ecco che i volti ‘vuoti’ vengono riempiti da noi: dalla nostra immaginazione. Anche questo è stile: cioè “Kostabi World”. L’arti-sta ci fornisce una chiave di lettura del mondo (lo si è detto: un arche-tipo) e ci invita a ‘gioca-re’ con esso.

E una propedeutica creativa: in fondo, un invito ad esse liberi. Ecco il perché del successo di Kostabi: le sue figure si muovono su scenari diversi, interagiscono, si scambiano, propongono soluzioni sempre diverse, rievocano, raccontano, indicano soluzioni. Non solo: ma lo stesso Kostabi, accettando la creazione (o ricreazione) dei suoi col-laboratori-assistenti, finisce per arricchire le immagini che poi propone al pubblico. Al fondo c’è un mistero che noi siamo invitati a risolvere.

Il caso della Gioconda di Leonardo può essere emblematico in questo senso. Tutti noi abbiamo provato, sia direttamente al Louvre, sia di fronte a una riproduzione del più celebre quadro del mondo, ad entrare in esso, a impossessarcene, a capirlo Invano. C’è sempre qualcosa che ci sfugge. Ci sfugge materialmente come intellettualmente. Il mistero è ‘sotto’. Kostabi lavora, mutatis mutandis, in modo similare.

Le sue figure paiono amorfe, rigide coi manichini, prive di fisionomia riconoscibile sono persone che incontri per strada o tram. Ti passano vicino, scappano via. N sapresti riconoscerle. Eppure lasciano segno. Ti volti e non ci sono più. Ma la i mente ne è stata, inconsciamente, assorbi La cosa strana è che quelle figure ‘so Kostabi’. Sono sempre il suo ritratto che perseguita e con il quale sei costretto coabitare. Forse che questo non si avvicini al concetto di ‘stile’?

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