Giorgio De Chirico e la Pittura Metafisica

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“De Chirico e la Pittura Metafisica” a cura di Rosa Spinillo

Giorgio De Chirico nacque a Volos in Tessaglia (Grecia) da genitori italiani. La sua formazione pittorica si svolse sotto l’influenza del simbolismo di Arnold Bocklin e della filosofia di A. Schopenhauer e F. Nietzsche.

Nel 1911 si stabilì a Parigi, fu anticipatore del Surrealismo e inventore della Metafisica. Conobbe Picasso e l’onnipresente Apollinaire. L’arte del pittore italiano parve rispondere subito all’invito di Rimbaud a diventare “veggente” per poter esplorare i recessi dell’”ignoto” e ottenere l’allucinante condizione della “chiaroveggenza”.

Giorgio De ChiricoIn soli quattro anni di permanenza a Parigi, De Chirico creò opere che realizzarono in pieno l’ideale di Rimbaud e anche l’esortazione di Jarry a cercare e creare un mondo “ supplementare” rispetto alla realtà quotidiana.

Ma De Chirico fece anche di più, non solo dette vita a un mondo di immagini autentiche e conturbanti, ma catturò lo spirito stesso del tempo o come disse Breton, “l’irrimediabile angoscia”.

Influenzata dai paesaggi malinconici e romantici di Arnold Bocklin e dal feticismo degli oggetti di Max Klinger, dalle chimere di Alfred Kubin, l’arte di Giorgio De Chirico toccò la vetta della condizione mistico – profetica che era stata il traguardo del Simbolismo dall’epoca di Baudelaire.

I suoi luminosi complessi di oggetti tra i più disparati – manichini e moderne locomotive collocate tra monumenti di un lontano passato – ci offrono una nuova metafora poetica, il cui significato rimane intenzionalmente oscuro.

Giorgio De ChiricoLe fantomatiche figure e le piazze deserte che De Chirico espose al Salon d’Automne del 1913 attrassero l’attenzione di Apollinaire, che scrisse: “curiosi paesaggi, pieni di insolite intenzioni, di potenti architetture e di una grande sensibilità”.

Giorgio De Chirico alludendo a quelle sue intenzioni, aveva usato le parole “ enigma della rivelazione improvvisa”, dimostrandosi profondamente influenzato dai filosofi idealisti tedeschi, specialmente da Nietzsche, che aveva descritto il “presentimento che sotto la realtà nella quale viviamo ce ne sia un’altra, nascosta e completamente diversa.

De Chirico colse tale realtà subliminale in maniera poetica e la rese stabilendo misteriosi rapporti tra oggetti banali e scenari incongruamente moderni e antichi.

Nel 1913- 14, con “Nostalgia dell’infinito”, l’artista riportò la sua arte addirittura all’aneddoto, al sentimento, a una tecnica ormai superata. D’altra parte precorreva di un decennio buono i Surrealisti, facendo della pittura il veicolo per la rappresentazione del processo onirico e facendolo con immagini senza senso logico, che si capivano a stento, mentre esplorava “ il legame preoccupante che esiste tra prospettiva e metafisica”.

La parola “metafisica” compariva spesso nei suoi discorsi e nel 1916 con questo termine venne descritto il suo lavoro.

Giorgio De ChiricoNello stesso periodo Giorgio De Chirico conobbe Carlo Carrà in un ospedale di Ferrara e i due artisti formarono una nuova società artistica chiamata appunto “Scuola Metafisica”.

I quadri di De Chirico arrestano la realtà e la congelano in una specie di immobilità da trance, in un palcoscenico di strane quinte, prospettive con punti di fuga contrastanti e scontri altamente drammatici tra cupe ombre e intense sorgenti luminose.

In un’atmosfera sinistra, dove il tempo ha cessato di esistere , s’intuiscono strani avvenimenti: qualcosa d’invisibile lascia cadere lunghissime ombre; mentre non spira un alito di vento, i pennoni di una torre colgono il fiato di una folata nascosta e gli stendardi sventolano.

L’illusione dello spazio infinito non respinge l’angoscia, anzi l’acuisce e chi guarda si sente come imprigionato in un incubo. Perche? Perché è tutto troppo chiaro, troppo lucente, ma di una lucentezza dalla quale non si può che cercare scampo.

In “Nostalgia dell’infinito”, la torre è un’immagine desolata, dimenticata, come la famosa “torre abbandonata” della poesia di Gérard de Nerval tanto ammirata dai Surrealisti, Le Prince d’Aquitaine.

Giorgio De Chirico Ettore-e-Andromaca-1917E tuttavia è trasfigurata da una luce spettrale che la investe da destra: remota inaccessibile alle figurine che si stagliano come fantasmi al centro della “piazza”, ha in sé una tonalità freudiana, da simbolo fallico, che contrasta con l’impotenza umana ( siamo ancora ad un livello quasi innocente e ingenuo rispetto al consapevole erotismo che caratterizzerà, anni dopo, l’opera di Dalì).

Giorgio De Chirico quando affronta il problema della totale paralisi interiore dell’uomo, lo traduce nelle immagini mutilate, senza braccia e senza occhi.

I manichini e le statue antiche fanno pensare tanto al passato eroico quanto a un mondo scomparso fatto di silenzio, d’impotenza e dello straripante desiderio del ritorno alla condizione umana.

Giorgio De Chirico

L’eroismo di una età perduta, l’artista poteva percepirlo solo con gli occhi della propria malinconia e così il passato diventa la scena distorta di un sogno.

Fu proprio la forte originalità di queste immagini che impressionò tanto profondamente il movimento surrealista propriamente detto e altri artisti indipendenti.

Sia a parole che col lavoro, Ernst, Tanguy, Magritte, Dalì e altri si trovarono insolitamente tutti d’accordo nel riconoscere in Giorgio De Chirico il loro precursore e maestro.

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