Ciro Palumbo

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Gentili Visitatori che con assidua simpatia visitate il mio portale, sperando di fare a tutti voi un regalo entusiasmante, per questo nuovo mese di settembre ho il piacere di presentarvi nelle rubriche “ I Grandi Dell’Arte” il Maestro Ciro Palumbo, un giovane pittore torinese che ho scoperto da poco ma che stimo davvero tanto perchè è riuscito a creare uno stile di forte impatto visivo, carico di un cromatismo davvero immediato che si mischia ad un simbolismo misterioso dietro il quale nasconde un grande segreto; È il mondo dei sogni e della pura fantasia a diventare l’icona di un universo velato il cui cuore è occultato con dovizia.

Mura che si trasformano in cieli surreali, busti di Statue famose che ci riportano all’arte del passato, il mare eseguito meticolosamente, paesi idilliaci, isole rigorosamente dei sogni e poi quella luna che sovrasta quasi tutte le creazioni donando un senso di felicità, sono questi i simbolismi di questa fresca pittura.

È Un mondo poetico puro e semplice quello che si scorge in questi dipinti onirici; Visitando le varie pagine potrete ammirare delle splendide creazioni e anche leggere dei testi entusiasmanti ricchi di particolari interessanti.

Chiunque vorrà, potrà lasciare un commento e al più bello sarà assegnata una splendida serigrafia firmata dal Maestro; Spero che Ciro Palumbo possa, prima possibile, godere delle idilliache sensazioni che si avvertono nel nascosto giardino della gloria; quello il cui accesso è riservato a pochi eletti e, secondo me, Ciro ha tutte le carte in regola per superare l’enorme fila che sta attendendo pazientemente.

Alcune opere

“Il Metodo” a cura di Ciro Palumbo

Dipingere è come trovarsi ogni volta di fronte ad un abisso. Lo sforzo fisico e mentale è l’eterna scelta. Ma subito dopo è la luce, è la forza, è la poesia e musica. Che fortuna! Tutti i giorni compio un rito, che è quello di affrontare la tela. Primo è il disegno, affascinante e misterioso, pieno di sorprese fino alla fine. lo eseguo sulla tela con matite morbide acquerellabili dai toni bruni. Egli segna l’ingombro, le forme.

E’ il concetto del quadro, non la sola figurazione. Poi con i colori acrilici arrivo al monocromo, dove fisso il disegno ricalcando il segno giusto e acquerellando il tutto facendo sciogliere la matita e lasciando solo più l’acrilico. L’abbozzo del dipinto avviene usando i colori ad olio. Faccio impasti di colore ricercati anche se l’intera gamma dei colori della mia tavolozza è sempre quella, ma bastano pochi e differenti dosaggi per ottenere tinte ed atmosfere completamente diversi. Siamo giunti, dopo l’abbozzo, alla fase finale: LA MAGIA.

E’ il momento delle velature, ovvero colori trasparenti che controllano le ombre rendendole “limpide” e appunto trasparenti. Le velature, che controllano i toni dei colori sottolineando riflessi più freddi o al contrario più caldi. I “lumi”, sono i colpi finali, quelli del virtuosismo e dell’effetto ricercato. Applico ulteriori paste di colore puro nei punti di massima luce. A volte è come ricominciare il quadro.

Non è mai finito, ecco perchè si continua a dipingere, e questa piacevole ossessione riempie la vita.

Biografia

Ciro Palumbo è nato a Zurigo nell’anno 1965. Fin da bambino ha mostrato una grande predisposizione per l’arte, mestiere che poi diventerà negli anni il suo pane quotidiano.

Dopo aver Frequentato a Torino le scuole superiori per apprendere le tecniche più professionali per svolgere la professione di disegnatore pubblicitario, si è specializzato sia nella grafica che come direttore artistico.

E’ restato però sempre fedele alla passione pittorica e date le sue grandi capacità tecniche e soprattutto inventive ha cominciato ad operare presso una moderna “bottega d’arte” riscuotendo numerosi successi che gli hanno permesso di non mollare e andare sempre avanti verso una crescita più florida.

Comincia così una lunga serie di sperimentazioni e ricerca che negli ultimi anni lo hanno portato a perfezionare la sua poetica, mettendo a fuoco il “mestiere” e come dice lui stesso: “…a cominciare veramente e con umile devozione a fare il pittore…”

La Critica di Vittorio Sgarbi

Ciro Palumbo è un affabulatore di momenti astorici e atemporali. Ci troviamo qui di fronte a una pittura dove l’ispirazione metafisica si esplica in un insieme immaginifico e surreale, in una messa in scena di elementi figurali che non riconducono a significati precisi. L’artista mette in atto un gioco plastico e visionario di presenze,che rivela esplicitamente una consonanza con Giorgio de Chirico e con Alberto Savinio.

Dal primo, Palumbo ha ereditato la bella stesura pittorica, il senso geometrico della struttura spaziale, e da Alberto Savinio il modo curioso di ammiccare con le immagini, in un gioco voluto e ben calcolato di contraddizioni. La caratura concettuale di queste composizioni è decisamente intensa, ma questo non basterebbe a reggere una disamina critica, se non si basasse su un intingolo pittorico che privilegia i toni intensi e senza sfumature, applicati con maestria sulla struttura narrativa del disegno preparatorio. Meditativo nel procedere, questo artista usa i colori acrilici ma, come spiega egli stesso, il primo abbozzo nasce dal colore ad olio. Capace di esaurire tutte le potenzialità della tavolozza, le sue velature controllano ed esaltano la stesura cromatica, che gioca sempre di contrappunto fra tono e tono.

Ogni quadro rievoca la classicità in un assemblaggio apparentemente incongruo di elementi compositivi plasticamente forti. È un impianto che poggia su elementi figurali tipici della metafisica dechirichiana, interni geometrici, sfondi naturali, sculture marmoree, ruderi e colonne squadrate, ma anche sul giocoso accostamento a balocchi colorati, barchette, palloni, e tasselli da costruzione.

Lo spazio che circonda questo mondo colorato è però ampio e in gran parte abitato dal vuoto, che allude ad assenze senza ritorno. Sono architetture senza tempo, dove la qualità pittorica si rivela in una delineazione estremamente precisa, senza sbavature.

Pittore di tradizione, che si rifà evidentemente alla lezione psicanalitica sulle simbologie oniriche, egli non insiste tanto sull’immaginario archetipico, quanto sull’esplicitazione freudiana dell’inconscio, sull’esplorazione del rimosso. I suoi sogni sono costruiti a tavolino, come la narrazione di una irrealtà ormai acquisita alla consapevolezza. Sono fiabe colte che si avvalgono dei reperti della Grecia antica, quella dei viaggi e degli assedi omerici, ritrovati in tutto il loro sapore fiabesco, quindi provocatoriamente estranei a una seriosa lettura critica o filologica.

Infatti, e in modo persino ossessivo, egli ripete in molte composizioni il tema dell’isola, già caro a Böcklin, ma non più tanto nel significato intimista, privato e nevrotico di un sogno da cui non si riesce a uscire, quanto piuttosto col gusto di una citazione, di un omaggio ai maestri e ai poeti che hanno ripreso quel tema, trasformandolo in una sorta di metafora dell’esplorazione e del tentativo di appropriazione dello spazio.

O forse questa inquietante presenza in mezzo al mare non è neppure una citazione culturale, quanto piuttosto il senso di una meta utopica, fortunatamente irraggiungibile, di un viaggio nella conoscenza di sé, dove conta molto di più il percorso dell’arrivo.

In questo consiste anche il senso del fare arte, che si fonda proprio sull’inesauribilità della ricerca, sulla natura incompiuta della creazione umana. La classicità metafisica di Palumbo ci fa dunque riflettere sulle ragioni stesse della nostra cultura così radicata nel Mediterraneo, nel rapporto fra il cielo il mare e la terra, fra il passato e il presente, fra la delusione e l’illusione, fra la follia e la ragione.

La critica di Franco Nicola Amenduni

Viene spontaneo chiederci, in questi nostri giorni di ansiosa ricerca, se alcuni codici di crittografia pittorica – da molto tempo definiti “moderni” – non incomincino, in realtà, ad essere alquanto frusti, cioè visti e rivisti da troppo tempo, fissi ormai in un clichè di elucubrazione:

Si deve immediatamente aggiungere, però, che risulta alquanto difficile ed implica pertanto una certa dose di coraggio, non solo il fare una affermazione come questa, ma soprattutto di dipingere in modo che sostenga un tale postulato, cioè in maniera onesta, che non segua correnti di clans e non giochi a darla ad intendere.

La pittura di Ciro Palumbo si distingue per la sua concezione estetica, che è in aperta polemica con alcune aberrazioni alle quali assistiamo, da troppi anni ormai, sotto l’etichetta di vera arte d’avanguardia. Palumbo intende essere d’avanguardia facendo della pittura sul serio, cioè creando un suo diagramma di toni, che si fondono per armonizzare e cambiano per trascolorare.

L’interpretazione di “ciò che esiste” diviene iperrealismo e quindi irrealtà e sogno. L’iperrealismo infatti (se non fosse il caso di ricorrere ad una definizione, ben sapendo che l’arte sconfigge ogni definizione o formula), diviene mondo astratto, perchè leviga il dettaglio ed esalta i contorni o i piani sino a creare felicissime iperboli. Nato a Zurigo nel 1965 frequenta a Torino le scuole superiori di Disegnatore Pubblicitario che lo fanno approdare alla professione per alcuni anni.

Ciro Palumbo possiede un mestiere, ma non permette mai che questo mestiere diventi il confine della sua anima; al contrario, lo vuole mezzo espressivo per riflettere il proprio spirito, prima ancora di lasciar traspirare la sua personalità.

E l’artista si cimenta su di una panoramica compositiva, il cui orizzonte include soprattutto quelle mirabili opere che vanno, grazie alla sua miracolosa tecnica, oltre la realtà. I soggetti utilizzati dall’artista posseggono una propria nobiltà, una sua aristocrazia che non è più il “il reale”, ma è l’incanto che conduce all’incantesimo.

Se è vero che la produzione pittorica del maestro è sempre stata ad un livello di coscienzioso impegno, è anche vero che alcune tappe evolutive possono essere individuate lungo un percorso di continuo superamento. Ed è stato interessante notare come critici più severi, abbiano da sempre concesso a Ciro Palumbo una valutazione che è sinonimo di stima, di frequente riconoscimento e molto spesso di plauso. La pittura del maestro convince tutti ed è contesa dagli amatori.

Ciro Palumbo ha esposto in vari Paesi d’Europa e oltre oceano, in mostre collettive e personali, ottenendo ampi consensi. Ma forse il consenso determinante lo hanno sempre dato e lo stanno dando con un crescendo meraviglioso i mercanti d’arte ed i collezionisti più ambiziosi di Firenze, Verona, Treviso, Napoli e di altre città italiane che, perseguendo una costante ricerca delle opere di questo straordinario pittore, ne hanno aumentato le quotazioni, elevandole ad un livello di prestigio internazionale.

“Il Sogno Dell’Angelo” a cura di Carla Piro

Un leggero brivido aveva percorso dall’interno la tela, mentre un rapido segno di colore ne solcava la superficie indefinita. Era l’alba di percezioni inconsapevoli nella figura nascente. Ogni gesto impresso dall’esterno trovava corrispondenza dentro il quadro. Non erano ancora sensazioni, perché il tratto lieve abbozzava appena su quel nitore una sagoma femminile dalle ali raccolte.

Il nulla oscuro e sospeso fuori del tempo, in cui ella aveva fluttuato fin ad allora, era stato rotto da impressioni inaspettate e discontinue, sollecitate dal lavorio febbrile dell’artista.

Non vi era coscienza, né chiarore in quell’idea di angelo che fremeva nella mano creatrice; solo percezioni inespresse e non comprese dalla figura in bozzolo, priva di passato . Via via la forma si andava delineando: mentre il pittore rappresentava l’idea, senza saperlo ne disegnava l’identità, consegnandole una coscienza che per gradi usciva dall’oscurità dei sensi. Prima un braccio tracciato, poi le spalle, quindi le ali: per l’essere indefinito brancolante nel buio erano brividi e sussulti.

All’improvviso la luce: accecante, calda, terribile che rappresentava – per chi da sempre nel nulla- la soglia dell’ignoto. Lui proseguiva nel fissarne il volto, i lineamenti, il capo ed a lei si dischiudeva un mondo sconosciuto ed un fermento nuovo. Finché quello sguardo appena dipinto aveva incrociato gli occhi dell’autore ed una scintilla aveva acceso ambedue. Ancor più impetuoso il pennello assediava la tela, mosso dall’ansia di tradurre in atto il sogno accarezzato a lungo: dal bozzetto al colore, infine le velature che davano vita al carnato di quell’essere dalle sembianze femminili ed angeliche insieme.

Ed ella, che fino ad allora aveva provato percezioni indistinte, avvertiva sulla pelle ormai definita il tocco di una carezza vibrante, mal tollerando la costrizione di un universo a due dimensioni. Sostenuto da un impeto irrazionale l’artista interveniva ancora con luci ed ombre, per conferire realtà illusoria alla forma senza vita. Pennellate impazienti, gesti appassionati e movimenti impulsivi si susseguivano scuotendo entrambi: il creatore e la creatura.

Inaspettata una folata di vento aveva spalancato la finestra distogliendolo dall’immagine; solo per un momento Poi il battito d’ali: un soffio impalpabile di piume aveva lasciato deserta la tela Allora egli ne avvertì la presenza.

Intervista al Maestro Palumbo a cura di Linda Altomare

Il percorso artistico di Ciro Palumbo può essere considerato un percorso che è destinato a non fermarsi, a non perdersi nel mare dell’inconcludenza, a non scontrarsi con il muro dell’incomprensione. E’ sempre difficile, anche se spesso agognato, incontrare artisti che possano fregiarsi di questo “nobile” appellativo, appartenuto a uomini che dell’arte hanno fatto una ragione di vita, che l’arte l’avevano nel cuore e nell’anima e non solo nella mente. Incontrando Ciro Palumbo è sempre un arricchirsi lo spirito, è volare con la fantasia, è sentirsi liberi dentro.

La tua pittura appare corposa, tattile eppure ha il potere di catapultare lo spettatore nel Sogno, fa rincorrere i ricordi; come lo spieghi?

Forse nel mio desiderio di raccontare delle storie. Mi piacerebbe scrivere un libro di racconti, di illustrare sogni surreali con parole e suoni. Inoltre non c’è niente di meglio nel cominciare con “C’era una volta…” ed ecco l’entrata in gioco dei ricordi, che diventano fondamentali.

Le immagini che proponi “profumano” di simbolismo, di metafisica: è un aroma destinato a perdersi nell’aria?

No, assolutamente. È la scia che stò seguendo e che mi piacerebbe continuare a scoprire. Credo che l’uomo abbia bisogno di simboli, o almeno ne senta il bisogno. I simboli gli servono per afferrare ciò che altrimenti non sarebbe rappresentabile; e se poi oggetti e figure, seppur inconsueti, sono rappresentati in una magica suggestione, il mix è tale da creare quell’aroma “Metafisico” persistente nel mio studio.

– Ti sei accostato a queste correnti artistiche per vicinanza di intenti o è stato un percorso naturale?

Credo fondamentalmente che la frequentazione dello studio del mio maestro A. Nunziante, abbia influito (dopo numerose chiacchierate davanti al cavalletto) nel cercare di capire un’ opera di Savinio o di Giorgio De Chiririco. E poi sugli scaffali pieni di libri del mio studio, i due maestri hanno un posto d’onore. Prima sfogliando i libri e poi ammirando (per fortuna) dal vero alcune opere, sono rimasto colpito dall’atmosfera, la poetica, il ” profumo” di quella luce, di quell’attimo. E poi i colori e la filosofia di fondo ti penetrano e naturalmente cominciano a costruirsi sulla tua tela delle immagini che ti riportano a quelle tematiche. E’ un processo naturale, per chi ci crede. Tentare oggi di dipingere e di parlare di una “nuova metafisica”, certo non è compito mio, diciamo che io dipingo un mondo che forse tenta di ripercorrere quelle vie.

Ciò che mi ha sempre colpito dei tuoi quadri sono i cieli; quel turbinio di colori che sembrano soffiati, quelle forme scomposte eppure così in armonia con l’intera composizione. Parlacene.

Il cielo è uno dei personaggi dei miei dipinti. E’ l’elemento, seppur impalpabile, che determina lo stato umorale dell’opera. In alcuni casi è un “fondo” che mi serve per esaltare il soggetto, ma pur sempre vitale, presente. Il cielo è il “sogno”, è l’aria aperta è l’avventura del viaggio. E poi mi piace inventare architetture fatte di nuvole e farle attraversare dalla luce, come una forza positiva che esplode.

Per molti artisti l’arte a volte è sofferenza, anche fisica, io invece ho sempre pensato che creare il bello potesse solo far gioire, far sentire felici; cosa è per te creare un’opera d’arte?

Ho in mente l’opera creativa divina della nascita di un bambino, il meraviglioso momento del parto, che attraverso la sofferenza giunge ad una felicità assoluta. Mi sento di usare questo paragone per il grande rispetto che ho per ogni momento creativo che riempie la vita di un uomo. In realtà credo che creare sia uno sforzo che parte dallo spirito, è pensiero ed opera di mano.

Ammirando le tue opere sembra che siano state create nel momento in cui i ricordi si riflettono negli occhi; è così oppure c’è una lunga e sofferta preparazione?

Ogni volta che mi accingo a lavorare su un’idea è già avvenuto tutto il processo di costruzione del quadro. Facilmente mi innamoro di una luce, di una atmosfera, a cui aggiungo i miei oggetti che puntualmente aspettano il loro turno. Poi tutto avviene meccanicamente. Quando mi concentro su un concetto, ripetutamente disegno e dipingo oggetti ed ambienti fino a quando non esaurisco il desiderio di comunicare.

Come Nasce un’opera di Ciro Palumbo

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