Nicola Vietti

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Tutta l’opera di Vietti è incentrata sulla figura femminile, non scarna ma piena , dalle forme tonde, che trae le sue origini dalla carnalità rubensiana fino a Botero e Bueno. Ciò che coglie l’osservatore al primo impatto è l’ironia, la favola dove vince la donna preponderante sull’uomo piccolo, minuscolo e in entrambi arde il desiderio.

Biografia dell’artista

Nicola Vietti è nato a Marsiglia il 22 Marzo 1945 da genitori italiani di origine pugliese emigrati in Francia all’inizio del secolo. Numerose le mostre personali e collettive. E’ presente in cataloghi e riviste specializzate. Attualmente vive e lavora a Milano, dopo un lungo periodo trascorso a Parigi.

Le figure di donnine di Nicola Vietti, si possono guardare da ogni lato, di tre quarti, di profilo, di spalle. Il significato del viso, la profonda somiglianza, le moine e la mimica facciale tra il romantico e il sensuale si perdono all’infinito.

Donnine languide e serene, carnose e volubili, lussuose e sornione, pacifiche e tranquille, colte in piedi o in riposo sui divani, a passeggio con cappellini e fasce avvolgenti i capelli, insomma Nicola Vietti non lascia alcun particolare di questa pantomima post-aristocratica, cogliendo ed evidenziando tutta la sua didattica libertinità, la corruzione salottiera, l’arma adultera, il romantico innamoramento, la fatalistica malizia.

Lo stile potrebbe rimandare a dei padri, che non vanno a questo punto dimenticati, come l’internazionale Botero e Bueno che offrono a Nicola Vietti lo spunto di partenza di uno stile tentato con disincanto.

La decorazione e i colori dal verde marcio al verde pastello, dai rossi agli arancioni, dai bianchi e dai panna agli azzurri e ai celesti, segnano temi e convenzioni che solo donne da bistrot, o da letto, o da case chiuse che purtroppo non ci sono più, manifestano in modo cosi chiaro. Una didascalia letizia, come un trionfo da ballata quotidiana e visi sorridenti. Visi ammiccanti. Smorfie e sguardi. E tutta la superficie del viso imbellettata si mette a ridere. Strano modo di ridere. Sono gli occhi a ridere.

Di gioia e di sesso… Nicola Vietti, come questa antologia libidinosa, bambolesca, recita a soggetto, apre lo spettacolo erotico, fatto di calzamaglie e indumenti intimi, ma anche di carne rosa e di sguardi penetranti. L’arte inizia in questi richiami.

Carlo Franza

Opere

Se è vero che con la ragione non si può spiegare proprio tutto, possiamo però almeno provarci…Arthur Schopenhaur nelle cinquanta massime in cui espone “L’arte di essere felici”, ci rende la sua personale visione di ciò che è la felicità e cioè la mera assenza di dolore, si è felici non perché si raggiunga una chimerica felicità, ma perché si riesce ad arrivare ad uno stato di assenza di dolore.

Attraverso il suo risaputo pessimismo, il filosofo ci detta massime applicabili in tutti i campi ed in tutti i momenti e grande influenza il suo pensiero ha avuto nel mondo delle arti figurative.

Grazie a filosofi come Schopenhauer crolla nel novecento l’idea di bellezza e crollano definitivamente vecchi e superati canoni estetici che ne vincolavano la rappresentazione, partendo da questo presupposto si può decisamente affermare che molta arte del novecento è decisamente bella, bella non nella rappresentazione, ma bella perché trasmette bellezza, intesa come ricerca, trasformazione, impegno e fantasia.

Guardando la produzione artistica di Nicola Vietti con mero occhio da spettatore e non da chi attraverso la figurazione cerca di orientarsi nel pensiero, viene spontaneo dire che l’artista o ama enormemente le donne in quanto tali, o le disprezza a tal punto da sformarle e ridicolizzarle in buffe ed esasperate caricature.

Ad una più approfondita analisi, si percepisce che Vietti ama non la figura femminile che da secoli è primaria fonte d’ispirazione per tutte le arti e che particolare successo ha avuto nella rappresentazione pittorica, ma la donna nella sua essenza, Vietti difatti rappresenta allegre e irreali donnine, allegoriche figure che sono figlie o nipoti di  quelle illustrazioni pubblicitarie dei primi decenni del novecento, fiorite soprattutto negli Stati Uniti d’America e importate in Italia con il turismo e con le guerre.

Nicola Vietti esalta trasformandola, la figura femminile e la civetteria propria delle donne, così Eva è rappresentata esagerata in tutto, nel trucco, nelle forme, nella spesso provocante posa e negli atteggiamenti. Non si può accostare il lavoro di Vietti a nessun altro artista contemporaneo, pur se per i temi trattati la mente corre a pittori famosi come Botero o Bueno, ma le loro pur interessanti figure, non raggiungono mai la freschezza e la leggerezza che meriterebbero e Botero soprattutto conferisce alla rappresentazione una troppo rigida impostazione formale, mentre nel lavoro di Vietti si percepisce un alone di gioco e di leggera irriverenza che realizzano quella piacevolezza alla vista.

“Le donne opulente di Vietti – tra eros e fantasia”

Tutta l’opera di Vietti è incentrata sulla figura femminile, non scarna ma piena , dalle forme tonde, che trae le sue origini dalla carnalità rubensiana fino a Botero e Bueno. Ciò che coglie l’osservatore al primo impatto è l’ironia, la favola dove vince la donna preponderante sull’uomo piccolo, minuscolo e in entrambi arde il desiderio.

La donna di Vietti non fa diete, è bulimica, è come una torta di fragole e panna, dolce, rotonda ma sensuale. Un sogno per chi rincorre un mondo diverso, dove la fantasia si sente rinfrancata da un porto sicuro, fatto d’amore e di tenerezza. Perché sono tenere le donne di Vietti, morbide come la seta le carni rosee, i volti di pesca.

La consistenza della materia pittorica sembra quasi smaltata, i tenui colori pastello preannunciano l’atmosfera di sogno che si respira in ogni sua opera. Gli uomini di Vietti quando non sono minuscoli, sono posti dietro alla donna, l’abbracciano o si abbracciano ed è un fragore di muscoli e di carni profumanti di vaniglia. Tutto è dolce e l’atmosfera rarefatta, sembra di vivere in una favola senza fine.

Una struggente bellezza pervade il mondo di questo artista, una messa in scena continua, dove ogni personaggio sembra recitare una parte tra il serio e il faceto e sempre l’ironia compare sorniona e sfuggente. Donne e uomini si amano, si vogliono, si prendono e si lasciano; l’eros assume il dominio totale dei corpi e delle anime. Corpi e anime incantate perse nel vortice delle passioni ma surreali nella loro irrealtà, questo l’universo di Vietti.

Rosa Spinillo

Nicola Vietti conduce l’interlocutore negli spazi sereni, seppure pensosi, di un’ironia raffinata e allo stesso tempo innocente come innocenti sono

anche i più dolorosi giochi delle fiabe. Le fiabe e il fiabesco sono un esito della fantasia che sfugge alla strotipia del quotidiano ed elabora in lontane realtà possibili dell’animo le situazioni e gli oggetti del tempo e dello spazio razionali. Un’ evasione ammiccante , ma senza l’ intenzionalità definita

dell’ammiccamento che stabilisce un’intesa cosciente, finalizzata; i personaggi di questo artista offrono un loro modo d’essere lasciandolo

indefinito e cangiante, sospeso sulla contentezza di un gioco appena iniziato che però non dice di se stesso che non sarà mai interrotto. Questi personaggi sono uomini, donne e bambini che sono semplicemente bambini; bambini che forse giocano a fare le donne e gli uomini, oppure

donne e uomini che non sono riusciti a cancellare la loro dimensione bambina. Bambolotti come persone o forse persone che vivono come bambolotti. La fragilità dell’infanzia e la divisa della vita sociale adulta si sposano e si contraddicono a vicenda sortendo una certa tenerezza nello spettatore che finisce col chiedersi quanto teme di assomigliare a loro o piuttosto quanto amerebbe essere come loro sono.

Dal punto di vista stilistico, la linearità delle forme leggermente plastiche contribuisce ad evocare proprio quella prima tenera età accudita che sempre resta a legare l’individuo al mito della sua infanzia; il cromatismo delicato della tavolozza pastello presenta a volte un tono di forte timbricità nel delineare un qualche particolare della composizione quasi come una spia sfuggita al controllo pacato dell’ artista che denuncia, in qualche angolo di quel sogno, la presenza di un affetto più acceso.

D’altro canto la stereotipia degli atteggiamenti, volutamente statici, quasi fissati in un tempo rigido, conducono ad un presente reale e diverso da quello evocato. Ma è anche una compostezza garbata che smussa i contrasti riportando il tono su una felicità fanciullesca di ” buon comportamento”, che avrà il suo premio.

In fondo l’artista porta un dono silenzioso e ricco di fantasia ad ogni individuo che si lascia andare, anche per un solo attimo, dietro l’attesa, completamente gratuita e fin e a se stessa, che si avveri un sogno; un sogno che si avvera semplicemente in quanto c’è chi lo sogna e lo vive così, sospeso nel tempo di quelle ” ragioni del cuore” tanto care a Pascal.

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