Franco Fortunato

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Franco Fortunato è un Artista che conosce bene i segreti della pittura classica e questo suo sapere, legato ad una fantasia incontenibile lo porta, con estrema facilità, a dar vita ad opere di ingegno che tecnicamente sfiorano la fotografia ma che sono anche cariche di una sensibilità immacolata che ci parla di vita, di poesia, d’amore attraverso l’utilizzo di icone semplici, le piccole cose del nostro quotidiano: franco fortunatoPaesini che richiamano alla memoria un Déjà vu di ricordi lontani, vecchie case di montagna legate come un presepe di altri tempi, architetture antiche arroccate in folti cespugli arborei, nascoste dal mondo e costruite nell’immaginario fantastico di Franco Fortunato in scenari surreali dove la realtà sembra diventare una pura illusione.

Una sedia di legno abbandonata in una terra incolta che ospita un paese incantato, una nave in costruzione che vorrebbe prendere il largo e partire per un lungo viaggio dalla meta ignota, una foglia libera nel cielo su cui riaffiora una medievale città volante, la chioma di un albero folto cresciuto in un arido deserto del Sudan che diventa una segreta ma libera prigione dorata, nella quale nascondersi per proteggersi dalle insidie quotidiane.

E’ una pittura di qualità quella di Fortunato, nata per dare un messaggio e per farci capire come il “mestiere” del pittore non è solo quello di riprodurre la realtà e il mondo esterno che tutti possono vedere e ammirare nelle sue bellezze più immediate, ma di filtrare le immagini con la sua sensibilità e creare delle opere in cui si palesa il suo ingegno e la sua creatività.

Spero che un giorno entrando nel mio studio potrò anche io gioire alla vista di un’opera di questo geniale artista che sicuramente lascerà una impronta indelebile nel panorama dell’arte del nostro bel paese. Si ricorda che, lasciando un commento sarà possibile vincere una litografia pubblicata nelle pagine successive.

Francesco Cairone

Biografia del pittore

franco fortunatoNato a Roma nel 1946, Franco Fortunato si forma artisticamente da autodidatta, seguendo fin da giovanissimo il proprio spirito creativo e la propria innata passione per il disegno e per la pittura.

Dopo aver compiuto studi scientifici, volge il suo sguardo al mondo della letteratura e della storia da cui trae gli stimoli e le suggestioni per dare vita al suo originalissimo linguaggio.

Sono in particolare i pittori trecenteschi ad affascinarlo e da essi recupera il gusto per la semplicità figurativa, la sintesi ed il rigore geometrico in un contesto di fantastica surrealtà e di trasfigurazione della realtà.

Negli anni Settanta inizia ad esporre con il “Gruppo Figurale il Babuino”, partecipando tra l’altro alla grande mostra dedicata a Pier Paolo Pasolini nel 1976, gruppo dal quale si è poi distaccato alla ricerca di un proprio linguaggio e di una completa autonomia di azione.

È in questo momento che nasce il suo particolare metodo di lavorare per “cicli”: dalle Storie del parco ai Barboni che dipinge tra il 1980 e il 1985, ai Racconti per l’Europa del 1992, dedicato alla nascente Unione Europea e ai dodici Paesi che la fondavano.

Nel 1994 affronta il tema di Pinocchio, primo ciclo ispirato ad un romanzo, che riprenderà poi nel 2004.

franco fortunatoNon è però un caso se scene tratte dal Pinocchio appaiono già nel ciclo dei Racconti per l’Europa dove viene raffigurata l’Italia. Per l’artista, infatti, il romanzo di Collodi è soprattutto un grande affresco del nostro paese, con la sua povertà, la sua corruzione, le sue malefatte e Pinocchio incarna quindi non solo una favola per bambini, utile tuttavia anche agli adulti, ma soprattutto un preciso spaccato della nostra società.

Prosegue, sempre negli anni Novanta, con l’Inventario e le Città invisibili, ciclo quest’ultimo chiaramente ispirato a Italo Calvino, e poi con i Ritrova=menti e le Città ritrovate. Sottesa temporalmente e tematicamente rimane sempre la figura del Vagabondo, che rappresenta per Fortunato una dominante di poetica che affiora e riaffiora autonomamente e nelle altre tematiche.

Un personaggio che compare già a partire dagli anni Ottanta e viene riproposto fino ai giorni nostri, ogni volta con aggiunte e mutamenti che registrano il cambiamento stesso e l’evoluzione di tutto il suo lavoro.

Nel 2000 torna sui temi letterari affrontando il ciclo dedicato al Piccolo Principe, il capolavoro di Antoine de Saint Exupéry, mentre nel 2003 sono ancora le architetture ad attrarlo con il ciclo Architetture fantastiche. Nel 2005 realizza l’importante ciclo su Moby Dick presentato nella significativa mostra allestita a Piancastagnaio (Siena) e successivamente realizza le Storie di Mari.

Cicli accompagnati da altrettante mostre in Italia ed all’Estero: Svizzera, Francia, Belgio, Spagna, Argentina, Olanda, Stati Uniti, Germania, Canada. Ha realizzato varie pitture murali su edifici pubblici e privati.

Fra queste va ricordato Via Matris Gloriosae nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Caramanico Terme. Il suo lavoro si sviluppa anche nel campo della grafica, della scultura e della ceramica.

Alcune opere

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Critiche di vari autori

…..In realtà Franco Fortunato non ha affatto voglia di stupire con le sue tele . A lui basta lo spazio della pittura per dimostrare come il terreno dell’opera è il campo della fantasia attiva,ossia il quadro dialettico dell’evoluzione del linguaggio che dalla sintassi di base porta verso il grande progetto. Di aspirazione culturale monastica, difatti, Fortunato pensa al “modular” come Le Corbusier ha ripensato la città utopica rinascimentale di Piero della Francesca e di tutti i filosofi-artisti italiani dell’evo moderno.

Ciò spiega anche la vena letteraria che caratterizza la sua natura artistica e tutta la sua produzione poetica che non mi sentirei di delimitare esclusivamente alla disciplina strettamente pittorica ma che – nel caso di Fortunato – amplierei al disegno,alla grafica e forse alla scultura.

Il “vagabondaggio” di Fortunato viene così ridotto ad una categoria del suo essere fuori dalla regola che non può e non deve essere tradotto come un usuale cliché , ma interpretato come “ archetipo ideale “ , ossia come una aspirazione verso l’altrove.

Altrove come spazio e tempo fuori della dimensione del presente che nel bagaglio dell’artista,cioè del vagabondo,si trasforma in un senso dell’irreale fantastico. Follia originaria o origine della facoltà di essere fuori del tempo presente , la pittura di Franco Fortunato conclude sicuramente un ciclo della modernità che da De Chirico porta a Magritte dimostrando come la dimensione della pittura è anche la dimensione del nostro agire, e come il nostro agire è scommessa e limite del nostro esistere

A.Masi

…E “C’era una volta” un “vagabondo” del mare e della pittura, Franco Fortunato, che sognava moltissimo, forse anche ad occhi aperti, legando il sogno ad una parola chiave di tutto il suo operare, che unisce le stagioni di tutta la sua pittura : questa parola è il “mistero”. Indubbiamente il mistero è attorno a noi, ci circonda, ed è mistero ciò che in noi smussa la certezza della nostra razionalità, producendo inquietudini, domande, paure, che connotano la vita dell’intera umanità.

Paure di fronte alle quali spesso non sapremmo dare un nome preciso, ma che discendono da quello che ognuno di noi si porta dentro, nel nostro profondo « io », nero o rosso che sia, e che la società che ci circonda molto spesso acuisce.

Un vagabondo del sogno Franco Fortunato ? Osservare un dipinto del maestro romano, significa entrare in una fiaba ; una favola metafisica dove ciascun elemento appare svuotato del suo peso reale, dove lo spazio è infinito, ed il tempo fermato in attimi di felicità assoluta…

…Fortunato è anzitutto un pittore italiano, e c’è in lui un gran rispetto della tradizione pittorica che da Giotto e dai trecentisti senesi, in particolare i Lorenzetti, conduce ai giorni d’oggi, a De Chirico, Savinio, Sironi, a Bosch o Chagall.

E’ il linguaggio che Fortunato dà ai quadri della sua pittura che ha un accento quasi musicale e poetico e che insieme isola e raccorda una zona di contenuti su cui è impossibile non gettare luce. Quello del maestro romano, è un languore poetico e fantastico al tempo stesso, che rarefà ed occulta la stessa realtà…

G. Madioni

….Enigmatica, non tangi-bile l’arte di Fortunato : un prodigio di originalità , di visione della vita e della storia umana , come se desse un senso nuovo agli avvenimenti ed all’esistenza. La sua arte è al tempo stesso seria e lucida , percorsa qua e là da un umorismo che non è una critica di comportamento , ma che assume a volte espressione di distaccata ironia .

Opera delle trasformazioni della realtà , come un mago o un alchimista. Tutte le sue composizioni appaiono equilibrate , anche perché il maestro ottiene un senso meraviglioso del-lo spazio infinito, attraverso una tecnica raffinata …

A Fortunato il sogno interessa poco come libera attività dell’inconscio. L’effetto e la sua funzione, possono riguardare relativamente :ma ciò che è veramente importante è esercitare incredibili e straordinari processi dell’immaginazione attraverso il pensiero vigile e attento a ciò che gli si muove attorno …

Gilberto Madioni

…la pratica d’arte di Franco Fortunato è incentrata sulla consumata memoria dell’Antico e sulla visualizzazione operata dai grandi predecessori settecenteschi e ottocenteschi, senza scade-re nei premonimenti angosciosi per la paventata “caduta del Tempo”, oppure nelle crudeltà surreali.

La sua vagheggiata aura metafisica viene convertita in corposa realtà formale, mentre i fatti e i personaggi che popolano questa realtà si tramutano in eventi sorprendenti e sempre nuovi, al pari delle situazioni e dei personaggi imperscrutabili usciti da labirinti ariosteschi. Ha scritto Alessandro Masi… «Fortunato raccoglie eredità di ogni passato, di ogni nobile vestigia della storia per affermare la superiorità della poesia.»…

Luigi Tallarico

… A differenza dei maestri del Surrealismo storico, si chiamino Masson o Tanguy, Dalì o Ernst, troviamo in questi pastelli filtratissimi di Franco Fortunato, che poi sono tecniche miste e hanno la stessa implicazione espressiva degli oli ( non ho mai proposto, del resto, gerarchie tecniche, ma solo di esiti d’arte), la valenza chiara di una immagine che non è mai mortificata da ipertrofie razionali; e torniamo quindi all’assunto di un proiezione d’anima, di un conte-sto mitico-sentimentale che trova nella pienezza del consenso tutte le risorse per un figurare d’alto volo.

Si giustificano, così le tante “alterità” che sottraggono l’aristocratico vagabondo al cliché del barbone da sottopassaggio: Il sogno in fondo al pozzo, il non bisogno delle ore schematizzanti, la città medievale incorrotta dentro un mezzo guscio di noce, i pensieri d’infinito sul traliccio solitario con l’inquietante commento degli uccelli di carta, il riflesso infedele sullo specchio a terra, che sostituisce al consueto bagaglio la visione urbana, quasi il simbolo di una realtà trasgressiva da custodire come archetipo ideale contro le sciat-terie usurate e le mille vanaglorie del presente. …

Renato Civello

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