Sofonisba Anguissola

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Gli sguardi di Sofonisba Anguissola (1533 – 1625 ca)

Appartenente alla nobile famiglia Anguissola di Cremona, con ben sei sorelle tutte dotate e versatili in campo pittorico e con un solo fratello, Asdrubale, che ignorò gli interessi umanistici, godette di fortunata e longeva carriera professionale che la portò alla corte spagnola di Filippo II, fino al definitivo rientro in Italia a Genova e a Palermo.

Assieme alle sorelle fu avviata allo studio delle lettere e delle arti secondo gli auspici del diffuso testo rinascimentale Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione, che istruiva la necessità per le donne del ceto aristocratico-borghese di arricchire il proprio corredo educativo con nuove strategie d’intrattenimento sociale.

Il padre Amilcare promosse i talenti delle figlie Sofonisba ed Elena avviandole del ‘46 alla scuola del pittore Bernardino Campi perché apprendessero la tecnica del dipingere, e più tardi usò tutta la sua abilità diplomatica per magnificare le capacità ritrattistiche della primogenita inserendola, grazie anche alle proprie relazioni, in un ampio circuito intellettuale, sorretto da una fitta rete di contatti con le corti italiane di Milano, Ferrara, Parma e Piacenza gravitanti intorno a quella spagnola.

In questo fu favorita anche dalla figura di Partenia Gallerati, imparentata con la famiglia Anguissola, fine conoscitrice dei classici greci e latini, e animatrice di un cenacolo, che intratteneva un flusso di scambi epistolari con dame aristocratiche animate come lei da uno spirito di maggiore autodeterminazione femminile, fondato sull’acquisizione del sapere umano. Le commissioni giunsero numerose, se pure raramente remunerate, insieme a tangibili elogi del mondo intellettuale come Francesco Salviati, Annibal Caro e persino Giorgio Vasari.

Nella sua pittura vive un pulsante realismo di sapore lombardo che supera le formule manieristiche, come emerge nella Partita a scacchi che Sofonisba dipinge nel 1555 e in cui ritrae le sorelle minori Lucia, Minerva ed Europa, insieme al marginale ritratto della fedele governante, impegnate in una partita a scacchi in giardino con un lontano paesaggio di fondo d’ispirazione fiamminga, mentre l’incrocio degli sguardi e la mimica delle mani suggeriscono una corrente interlocutoria tra i vari personaggi.

La presenza della figura anziana rivela la contrapposizione bello-brutto che ricomparirà nella Bambina con nano, Vecchia che studia l’alfabeto ed è derisa da una bambina,Ritratto di Lucia alla spinetta e ancora nel Ritratto di Margherita di Savoia con un nano del tardo ‘95.

Sofonisba Anguissola ragazzo morso dal granchio
Sofonisba Anguissola, ragazzo morso dal granchio

A conoscenza degli studi di Leonardo sulla rappresentazione estetica degli stati d’animo, mostrò pronta acutezza nel rendere il linguaggio espressivo del corpo coinvolgendo la sfera emotiva, così come compare nel Ragazzo morso da un granchio incentrato sull’espressione di pianto del fanciullo, e che troverà emulazione mezzo secolo più tardi nel Ragazzo morso da un ramarro di Caravaggio, o nel Ritratto di monaca del ‘51 in cui ritrae presumibilmente la sorella Elena, che lasciato il dipingere si consacra suora, e in cui riassume nel candore del volto e nella postura della mani lo stato d’animo forse incerto per la nuova via intrapresa.

La ricerca psicologica si intensifica nel 1555, creando opere come il Ritratto di canonico lateranense, o il Ritratto di astronomo domenicano in cui la ricerca meticolosa, quasi fiamminga, si fonde con accenti di Tiziano negli incarnati e con l’elegante classicismo di Raffaello, e talora appaiono suggestioni che ricordano la rarefatta grazia del Parmigianino.

La dettagliata descrizione dei lineamenti, l’uso della luce sui particolari dell’abito e degli ornamenti, la direzione degli sguardi che talora paiono instaurare un dialogo con l’autrice, come nel Ritratto di dama del ‘57, l’indulgenza nel mascherare le deformità fisiche del figlio del monarca, Don Carlos, risplendente in un abito di foggia elaborata, le posture dei personaggi ritratti, rompono lo schema del ritratto aulico, dando maggior rilievo alla dimensione intima .

Sofonisba e le sorelle non dipingevano per contropartite in denaro, trattenevano per se i ritratti o li donavano a parenti e amici, ricavando attestati di stima atti ad accrescere il prestigio della famiglia.

I progetti paterni si concretizzarono con la sistemazione della primogenita presso la corte spagnola di Filippo II come dama al seguito della di lui quattordicenne moglie Isabella di Valois, per istruirla nell’arte del disegno.

Tra loro nacque una profonda intesa che proseguì dopo la morte prematura della regina, con le infanti Caterina Micaela e Isabella Clara Eugenia.

Scarsa la documentazione cronologica della produzione in terra spagnola, dove la sua posizione probabilmente le impediva di firmare richieste di committenti, ma le sue regalie di quadri furono ricambiate con generosi compensi in gioielli o stoffe preziose, e ricevette da Filippo II la dote per le sue nozze nel ‘73 con un nobile siciliano di origine spagnola, preparandosi così al ritorno in Italia.

Rimasta presto vedova si sposò nuovamente con il nobile capitano della nave che avrebbe dovuto condurla da Genova in Toscana per riunirsi alla famiglia .

Rimase ancora nella città ligure fino al 1615, quando l’attività del marito la portò a Palermo dove visse il suo ultimo decennio. La sua produzione legata a temi religiosi, forse influenzata da accenti mistici suggeriti dalla controriforma tridentina, non ebbe la stessa energia rivelata nei ritratti, e pur mantenendo l’attenzione al realismo lombardo risulta una maggiore gestualità e articolazione plastica, .

Il giovane Van Dyck, colpito dalla sua opera, nel 1624 si recò a Palermo per omaggiare la pittrice ormai novantenne e quasi cieca, ma circondata ancora da profondo rispetto e stima.

“Grandissimo honore hanno etiando recato alla città di Cremona, sei nobilissimi sorelle […] la prima è Sofonisba, eccellentissima nella pittura…”

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