Mark Kostabi: presentazione del pittore

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Quando Mark Kostabi arrivò a New York dalla nativa California quasi un quarto di secolo fa, all’ età di 21 anni, i tratti del suo stile artistico erano già piuttosto sviluppati. Vari disegni di piccole dimensioni realizzati su scontrini di cassa, presentano la figura dell’ “uomo qualunque” che è il marchio di fabbrica dell’artista.

Questi semplici disegni a penna di un essere animato ma senza volto, che trasporta una tela o sale una scala, trattano quella che sarebbe diventata una delle tematiche costanti di Kostabi che ha continuato a creare un universo virtuale tutto suo, popolandolo con una razza di esseri amichevoli, puri e bianchi come la neve, pronti a rispecchiare la delicata soggettività dell’appassionato d’arte più attento.

Al livello più semplice, il golem di Kostabi è un essere magico destinato a cogliere i desideri fugaci del pubblico; Ma il nostro non è un palcoscenico semplice, è il mondo dell’arte e anche gli abitanti del mondo di Kostabi, i Kostabicani, sono automi senza volto, doni umani senza una vera identità propria, spazi vuoti in attesa dell’impronta di una soggettività prefabbricata.

È agli albori della modernità che risale questa creatura! Come tale, l’umanoide di Kostabi è standardizzato, narcotizzato e ipnotizzato, escluso da qualsiasi possibilità di libertà e di decisione. All’avanguardia nel presente wireless, il soggetto autentico si dissolve in un labirinto di echi e riflessi digitalizzati.  I cittadini di Kostabica, allora, hanno una speciale intensità, l’intensità del silenzio, senza voce, né orecchie per ascoltare o occhi per vedere.

A un livello immediato di identificazione umana, possono solo percepire il loro cammino nel mondo, nel tempo e nella storia. In termini di appagamento, l’illusorio ha la stessa efficacia del reale, come nella casa infestata dai fantasmi dei bambini, quando gli acini d’uva pelati si trasformano in globi oculari e gli spaghetti freddi diventano budella.

C’è soltanto una risposta, sembra dire Kostabi nelle sue opere d’arte, ossia sviluppare i propri superpoteri, diventare un eroe ed entrare nella Justice League, salire sul Mount Olympia e prendere posto nel santuario.

Come il cieco Daredevil della Marvel Comics, la perdita di un senso trasforma i rimanenti in organi di percezione supersensibili. Per-ché quello di Kostabi, malgrado il silenzio, è un mondo iperattivo e cacofonico. Gli umanoidi si addolorano e soffrono, amano e sono soli, ozia-no e si mettono in mostra, cercano e contemplano.

Senza volto, si esprimono con accresciuta intensità attraverso il gesto e l’atteggiamento. Prodotti della loro storia, della loro cultura e del loro ambiente sociale, sono molteplici come i milioni di persone identiche, individui nel nostro sconcertante mondo reale.  

In tutte le sue attività, Kostabi è diventato presto il giullare della corte che regnava sul mondo artistico di New York, senza perdere l’occasione di sferzare la sensibilità un po’ snob dell’ avanguardia che si auto-celebrava bohèmien.

L’ utilizzo degli assistenti di studio da parte dell’artista, che negli anni ’90 si ampliò, fino a diventare un processo di produzione estremamente disciplinato ed efficiente, mise ben presto in ombra le prime carnevalate.

Questo perché Kostabi aveva già cominciato ad allontanarsi dal personaggio dell’artista classico, misero, sciagurato, ricoperto di macchie di colore, a favore del ruolo chiaramente post-Warholiano di impresario. Pur essendo un fustigatore del mondo dell’arte, Kostabi riuscì a muoversi molto bene per ampliare il suo ruolo fino a diventare imprenditore artistico e amministratore delegato della sua azienda globale produttrice di arte.

Alla fine degli anni ottanta, il suo studio si era trasformato in Kosta-bi World, combinazione difactory e think-tank in cui i dipendenti-artisti sfornano Kostabi origi-nali progettati da un’équipe separata di “creatori di idee”, il tutto sotto la supervisione dell’artista in persona. Con l’aumento della capacità di produzione, arrivarono le strategie di distribuzione di massa.

Nel 1989, se-condo la cronologia di Mark Kostabi: The Early Years Vanity Press, New York 1990), Kostabi World distribuiva quadri alle gallerie e ad altri rivenditori “in blocchi di 100 esemplari” e più. Oggi, Kostabi World è un vero prodigio. Nell’ arco di una carriera di venticinque anni, l’artista stima di aver venduto 15.000 dipinti, in aggiunta a una certa quantità di disegni e stampe.

Il suo nuovo studio, ora situato a SoHo, ha venticinque dipendenti e spese generali annue per circa 1,5 milioni di dollari. Gli assistenti sono sicuramente tra i più pagati del settore, alcuni guadagnano fino a 150 dollari all’ora.

Lo storico d’arte italiano Paolo Rizzi, in Kostabi a Venezia (Téchne Editore, Milano 2003), sottolinea che il genio del barocco Pieter Paul Rubens aveva un esercito di assistenti di studio (tra cui Van Dyck), che dipingevano paesaggi, animali o ritratti, a seconda delle rispettive doti.

Anche Kostabi ha i suoi specialisti nella rete di collaboratori di Kostabi World: Natan, che spicca per la velocità e la capacità di dipingere su quadri più grandi; Fabio, anch’egli molto veloce, ed esperto negli effetti “antichi maestri”; Alex, il miniaturista più bravo, in grado di dipingere un Kostabi sulla capocchia di uno spillo; Miguel, romantico umorale, particolarmente bravo negli effetti di luce spirituali; Yuriy, di origine russa, specializzato nei ritratti, che sembrano emanare calore.

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