Henri Matisse e il Fauvisme

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“Henri Matisse e il Fauvisme” a cura di Rosa Spinillo

Il francese Henri Matisse fu il grande genio innovatore che rivoluzionò con la sua pittura tutta un’epoca, quella dei primi del Novecento; influenzando le successive generazioni di artisti. Matisse nacque a le Caveau nel 1869, morì a Cimiez, Nizza, nel 1954.

MatisseLa sua formazione avvenne nello studio di Gustave Moreau artista simbolista, le sue prime opere risentono dell’esperienza dell’ impressionismo.

Indubbiamente fu Munch, il primo a individuare e a impiegare il tratto essenziale dell’arte espressionista – gli elementi pittorici come veicolo esclusivo dell’emozione – “Munch ha avuto il coraggio di dipingere vicende della vita interiore…

Il pennello e la mano del pittore hanno saputo esprimere cose molto profonde”.

Questo esprimeva Munch: il tormento psicologico , la disperazione, l’ossessione autobiografica. E’ perciò sorprendente che l’artista che per primo si servì del termine “espressione” nel Novecento e che indicò quasi pedantemente i mezzi per raggiungere “l’espressività” in arte , fosse un uomo del tutto diverso; Henri Matisse , un ex studente di legge, proveniente dall’ambiente della borghesia provinciale, che avrebbe trovato la propria strada nell’arte molto tardi da dover essere considerato appartenente alla generazione di Bonnard e Vuillard.

I tedeschi, seguendo l’esempio di Munch, Hodler e dei loro antenati gotici ( Grunewald) tendevano ad un’arte che aldilà dell’impressione visiva, rendesse su tela esperienze dell’animo e valori spirituali.

Non così Matisse e i suoi amici fauves, che meritarono il riconoscimento di essere stati i primi a investigare il concetto di espressione in sé. Per un certo periodo, i fauves dipinsero con un abbandono, una passione e addirittura una violenza nell’impiego dei mezzi pittorici tali da giustificare la loro pretesa di essere i primi artisti espressionisti del secolo.

Il rapporto tra Matisse e l’Espressionismo è documentato da un brano di Notes d’un peintre, il famoso scritto dell’artista, tradotto subito in russo e tedesco,ancora oggi un cardine della storia dell’arte moderna.

Nel chiarire la sua indipendenza dall’espressionismo tedesco, allora in ascesa ma pur sempre in fase formativa, Matisse dichiarò: Io cerco soprattutto l’espressione… non riesco a far distinzione tra ciò che provo verso la vita e il modo di esprimerlo.

A mio parere, espressione non significa la passione che si specchia nel volto dell’uomo o che viene tradita da un gesto violento. In un mio quadro, l’intera composizione è espressiva.

Il posto che vi occupano certe figure o oggetti, lo spazio vuoto che li circonda, le proporzioni, tutto ha il suo peso. La composizione è l’arte di collocare in maniera decorativa i vari elementi a disposizione del pittore, che esprime così i propri sentimenti. Matisse prosegue, affermando che ci sono due modi con cui esprimere le cose: si possono mostrare crudamente, o si possono evocare artisticamente.

E’ in questa annotazione, la vera differenza tra Matisse come esponente dell’Espressionismo francese e gli Espressionisti tedeschi e nordici in genere. Ai fauve, seguaci di Matisse ma anche rispettosi di una lunga tradizione e di certi atteggiamenti mentali radicati, interessava soprattutto l’esplorazione dei problemi formali connessi al disegno e al metodo pittorico.

Matisse usava il termine espressione parlando di qualcosa che non fosse la semplice espressione della faccia ( intorno al 1908 gli succedeva spesso), si affrettava sempre ad aggiungerci le parole sensibilità o alto ideale di bellezza o maniera decorativa. La sua restava una posizione rigorosamente distaccata, di carattere essenzialmente estetico.

L’ossessione tedesca della “spiritualizzazione dell’espressione” e del dolore umano non avrebbe potuto essere più lontana dallo spirito mediterraneo e dalla moderazione classica di Matisse, al quale all’opposto dei tedeschi, non importarono mai i soggetti urbani in quanto tali, la nudità del corpo intesa come elemento liberatorio, e meno ancora la rappresentazione di certe condizioni psichiche, l’angoscia in prima fila, ovviamente gli artisti tedeschi reagivano alla corruzione della società assumendo il ruolo di moralisti scatenati, concentrandosi sugli stati psicologici dell’uomo moderno.

E’ interessante notare che i Fauves francesi e il gruppo della Brucke, condividevano l’interesse per l’arte primitiva dell’Africa e dell’Oceania, allora recentemente scoperta, ma anche qui si trovarono su posizioni antitetiche: i tedeschi si sentirono attratti dal modo di vivere e dal misticismo di quelle popolazioni semiselvagge, mentre i francesi si limitarono a vedere nell’arte primitiva nuove aperture formali ed espressive.

Fu scandalo a Parigi, al Salon d’Automne del 1905, quando furono esposte le opere di Henri Matisse, Georges Roualt e Andrè Derain.

In quell’occasione il critico Vauxcelles li definì “fauves”, cioè “belve”, riferendosi all’impeto ferino con cui essi distorcevano forme e colori. Nella pittura fauve è il temperamento dell’artista ad avere la meglio sulle regole compositive e cromatiche codificate.

Ciò che ci insegna Matisse è che i colori scelti per la descrizione dei soggetti possono essere i più vari, poco importa se inverosimili o troppo squillanti, basta che essi corrispondano alle esigenze emotive dell’artista.

Non stupisce se il cielo sia rosso o un prato celeste: se l’artista vede il prato secondo quei colori, essi diventano leciti. Inoltre, abbandonata ogni piacevolezza di ascendenza impressionista, il colore seduce per la veemenza con cui è distribuito sulla tela.

Il colore sopravanza la definizione formale, che diviene sommaria, quasi grossolana, atta solo a impostare uno schema poi rielaborato a livello cromatico.

L’innovazione quindi, risiede nell’assoluta libertà espressiva che guida la mano dell’artista. E in ciò saremo sempre debitori a Matisse.

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